La storia non andrebbe dimenticata! Andrebbero visti con maggior entusiasmo rivolto al passato vari Ratatouille, Shrek e Chicken Little. Non dimentichiamoci che prima di orchi verdi, polli impazziti e ratti chef (molto prima), ben 70 anni fa, un genio, quale Walt Disney, a cui tutti dovrebbero per diritto la cosiddetta "fabbrica dell'animazione" da cui l'omonimo marchio che anno dopo anno ha confezionato alcuni fra i più grandi gioielli dell'animazione e non, ci rese fortunati spettatori di uno dei maggiori omaggi artistici alla cinematografia di sempre, "Snow White and the 7 Dwarfs" da noi meglio conosciuto come "Biancaneve e i 7 Nani", probabilmente una delle produzioni più complesse e ambiziose di sempre, primo lungometraggio animato della storia: sfruttare i media, non badar ai mal auguranti e o pensanti (sarà un vero e proprio insuccesso!), rendere un misto di poeticità visiva a cotanta ricercatezza musicale senza strafare, il risultato, al contrario, fu un autentico capolavoro che regalò all'ambizioso Walt Disney diverse nominations all'Oscar, inclusa quella per la miglior colonna sonora, e un bellissimo Oscar speciale in un’originale versione rappresentante il classico "figurino" e 7 piccoli cloni in versione ridotta accanto (riferimento al film vincitore). Sono successi miriadi di altri cult, film come Fantasia, Cenerentola, Peter Pan, La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Il Re Leone, Hercules; film che con positivo vigore si sono imposti non solo come “ritratti infantili” di eventi profondamente credibili imponendo a loro volta morali poi non così implicite, ma anche come vivide sorgenti di sogni, speranze e fiducie che prendono forma e movimento in quelli che ormai vengono semplicemente definiti “cartoon”. Oggi Kevin Lima, l’autore dell’ormai celebre Tarzan Disneyano, ci riporta in un mondo che pareva perduto fino a pochi anni fa, un mondo in cui la comicità può ancora non venir definita ovvio binomio di volgarità assortite, ma così come in Aladdin, comicità e genuinità, un binomio da incassi record. Ormai si è venuta a creare una presunzione “artistica” a dir poco terrificante. Un primo fortunato Shrek seppur altamente sopravvalutato ha dato vita a molteplici cloni insipidi e scoraggianti, animaletti flautulenti, umani deformi, e così via, facendo libero sfoggio di citazioni da capolavori dell’animazione con più di una non risentita frecciata con l’unico scopo di deridere. E la computer grafica da scelta artistica quale poteva esser nell’ormai lontano 2000 è divenuto oggi quasi un obbligo di curriculum. Molti film hanno perso il proprio fascino, ed anche i maggior successi di oggi hanno un non so che di poco identificativo. E “Come d’Incanto” cade proprio a fagiolo. Ricco di un port-folio di citazioni ormai centenarie, senza troppi volgarismi ma seppur con una vena comica a tratti decisamente esilarante, Come d’Incanto ci regala primi quindici minuti di pura poesia, descrivendoci sullo stile del già citato Tarzan la dolce principessa Giselle, che fra melodici canticchiamenti, si promette in sposa all’intrepido principe Edward lo stesso giorno che i due si incontrano e che il principe le salva la vita da un orco. La matrigna del giovane, la perfida regina Narissa, però “ovviamente” contraria, travestitasi da vecchia venditrice di mele (citazione), attira la fanciulla per poi getterla in un pozzo, diretto portale verso il nostro mondo, l’attuale New York. Il colorito cartoon si trasforma presto in un grigio film, e la principessa smarrita prende le sembianze della bravissima Amy Adams, attrice di origine italiana, che per questa interpretazione si è guadagnata una nomination ai golden globes. L’incontro con un gentiluomo di città, l’avvocato Robert Philip, che in molti avrete visto nel telefilm “Grey’s Anatomy” cambierà non poco la mentalità evidentemente occlusionata, forse ingenua, ma sicuramente fin troppo sognante della bella principessa, capovolgendo non poco la situazione, rendendo la città in cui tutti viviamo e critichiamo “giusta morale da seguire” da parte del superficiale mondo dei cartoon, dove l’amore sboccia anche dopo poche ore di apprendimento l’uno dell’altro, grazie al solo ausilio di canti a suon di promesse dal lieto fine. Qui il lieto fine è un “semplice” cambio di rotta, uno scambio di opinioni fra due animi pensanti diversamente. La principessa che va piroettando in musica per la Walk of Fame, travolgendo seppur molto incredulamente i passanti cittadini, il che si rivela un contrasto genuino ma mai banale, viceversa l’avvocato racconta alla fanciulla di come lui e la sua ex moglie abbiano deciso di declinare il loro matrimonio, rivolgendo così alla principessa una visione sicuramente più complessa e risentita del rapporto fra due persone. Anche il finale subisce un ulteriore piega, accreditandosi la sigla di “eroina in soccorso dell’eroe” e non viceversa. In un perfetto collage di comicità e sentimento, il film scorre piacevolmente; già stracult la scena in cui Giselle si mette a lavoro per riordinare l’appartamento di Robert, e traendo ispirazione citazionale dal “Proviamo a fischiettar” di Biancaneve, attira un gruppo di animali presenti nei dintorni. Dolci cerbiatti e pettirossi cinguettanti? No. Enormi blatte marroni, ratti di fogna e piccioni di strada. Il tutto condito dall’ottima prestazione recitativa di Amy Adams, che all’occasione non dimostra alcun risentimento, seppur dubbiosa dell’aspetto non propriamente “carino” degli animaletti accorsi in suo aiuto, continua a cantare pienamente a suo agio. Vi sfido poi a non ridere nella scena in cui Robert scopre com’è che la principessa vanta sempre dei nuovi abiti pur trovandosi sperduta a New York. Da non dimenticare la comparsa sempre gradita di Susan Sarandon, bella come non mai, ancor più dark che nel suo ormai leggendario ruolo in “The Rocky Horror Picture Show”. L’unica critica và rivolta alla localizzazione italiana, le canzoni infatti hanno una traduzione a dir poco pessima nella quasi disperata ricerca di una rima a fine verso, vi assicuro che la versione originale è ben migliore, o quanto meno maggiormente ispirata, vi ricordo che i brani sono infatti composti e scritti dal pluripremiato Alan Menken (La Sirenetta – La Bella e la Bestia – Aladdin – Il Re Leone – Pocahontas etc.). Come d’Incanto è dunque un nostalgico omaggio all’animazione di ieri, uno spaccato citazionale che non teme di sfigurare nel rappresentare l’ovvio contrasto tra favola e realtà, condito peraltro da situazioni irriverenti. Non manca poi di prendersi gioco di se stesso, eleggendosi propria parodia, dimostrando, oltretutto, più di un ovvio senso d’innovazione e ritraendo non proprio alla leggera l’aspetto sognante e fiabesco dei maggiori capolavori Disney. C’è da ammetterlo, non certo usuale.
3,5 su 5
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