L'era dei Tudors, a detta di molti, un periodo storico sempre in voga. L'era dinastica di Enrico VIII, sovrano che tentativo dopo tentativo, amanti e mogli (6 in tutto), con l'unica pretesa di avere come erede al trono un maschio, da alla successione monarca una grande regina, l'Elizabeth di Cate Blanchett. Ma quella è tutta un'altra storia, se non altro, quella che ne succede. Enrico VIII è diventato uno dei re storici più popolari della monarchia inglese, ma più per le sue peripezie amorose e relazionali, che per i suoi grandi meriti monarchici. Ma quel sovrano descritto dal romanzo di Philippa Gregory, è un Enrico VIII ancora giovane e in salute, interpretato per l'occasione dal bravo Eric Bana (Munich di Steven Spielberg). La regina, nonchè sua prima moglie, Caterina D'Aragona, gli da una prima figlia femmina, ma il resto dei figli muore alla nascita o in tenerissima età. Così il via al disperato bisogno di avere un erede maschio ancor più di vedersi affiancato in amore una grande donna. Ripudiata dal letto, Caterina D'Aragona verrà ben presto ripudiata anche come regina, e l'unica figlia, disereditata. A causa delle trame tesse dal debole Thomas Boleyn sotto l'imponente influenza del cognato Thomas Howard, duca di Norfolk, sua figlia Anne (Natalie Portman) viene istruita per divertire il re durante l'alloggio di questo nella dimora dei Boleyn. Anne si rivelerà ben presto fin troppo sofisticata e sicura di se, anche per lo stesso sovrano, tanto che a seguire di un incidente, il re poserà lo sguardo sulla sorella minore di Anne, la mite e solare Mary (Scarlett Johansson), già sposa ad un funzionale di corte. L'animo meno stravagante e sicuramente più modesto della dolce Mary stregherà il cuore del sovrano, dimostrandosi tanto interessato da ordinarle di lasciare marito e vita di campagna per seguirlo alla corte come fittizia damigella d'onore della regina. Qui comincierà a venir fuori il contrasto fra le due sorelle, un tempo legatissime, poichè Anne si sentirà plagiata e tradita dalla sorella minore. Mary risulterà ben presto gravita, e credendo di venir ricambiata, si innamorerà follemente del suo "dolce" re, intanto però, la sorella maggiore si sposa in segreto ad un uomo già impegnato, il cui fatto, venuto a conoscenza del padre e dell'ambizioso zio sarà motivo di esilio in Francia. Anne esploderà d'odio nei confronti della sorella Mary, una volta scoperto che gli anziani hanno recepito il "fattaccio" da quest'ultima, anche se le intenzioni della dolce Mary erano tutt'altro che cattive. Il periodo di esilio in Francia durato ben 2 mesi, ripoterà una Anne mutata, sempre sofisticata e ambiziosa, ma capace di una maturità dialettica e artistica da tener testa allo stesso Enrico VIII. Mossa da ambizioni di distruzione e vendetta nei confronti di Mary, Anne calerà una rete in cui il re incapperà ben presto, finendo col divenire il suo stesso burattino per il solo desiderio carnale. Le conseguenze saranno disastrose per la famiglia, in principal modo per la povera Mary, che verrà presto rispedita in campagna, allontanata dall'amato re, e, il figlio appena partorito, riconosciuto illeggittimo. In una spirale che ben presto si farà incontrollabile per la stessa Anne che influenzerà il re nella scelta di ripudiare la rispettata moglie Caterina, e di conseguenza, effettuare lo scisma dell'Inghilterra da Roma, dando origine alla chiesa anglicana. Il popolo ben presto si ribellerà, e quell'amato re di un tempo lascerà spazio ad un uomo lunatico, ormai incontrollabile e facilmente abbindolato dalle passioni fisiche. Mary non volterà comunque le spalle alla sorella, tanto da rimanerle accanto nei momenti di maggior tensione, fino ad una totale perdita di controllo, e alla tragica fine degli ambiziosi progetti della famiglia Boleyn, a discapito dello stesso fratello di Anne e Mary, George (Jim Sturgess) agli occhi di una madre disperata (Kristin Scott Thomas). Il sipario si chiuderà in maniera folgorante, fra gli sguardi animati delle due sorelle, l'una pentita, l'altra misericordiosa, non poter far nulla, entrambe vittime di un uomo che un tempo le aveva desiderate. Incanalati stati d'animo differenti, con la sola ed unica prevalenza dell'amore che una ha sempre nutrito per l'altra, quasi come un grido inespresso, le loro labbra sono serrate, o sboccate per lo sgomento, ma sono i loro occhi ad urlare, a pronunciarsi quel "ti amo sorella mia", e quei loro primi tormenti tutto ad un tratto svaniscono per lasciare spazio ad una redenzione fittizia, ma certamente goduta, e gli ultimi dieci minuti della pellicola raggiungono l'apice di un film che si mantiene comunque ad un ritmo sorprendemente coinvolgente e che narra piacevolmente i suoi molteplici colpi di scena. Tutti eravamo abituati ad una Johansson femme fatale, qua completamente diversa, ancor più espressiva che in "La Ragazza con l'Orecchino di Perla" che le aveva fatto guadagnare la seconda nomination ai Golden Globes per la migliore interpretazione (in tutto 4). L'impatto visivo è comunque ambiguo, il regista Justin Chadwick (reduce di film per la tv), dimostra di sapersi ben orientare, ma di puntare talvolta su scelte registiche oggi probabilmente fin troppo "dozzinali", come il riprendere intere scene da insolite visuali (attraverso uno spiraglio dato da una porta lasciata socchiusa e via dicendo). Potrebbero considerarsi scelte dal risultato dualistico, da una parte il voler ravvicinare il risultato visivo del film a affreschi dell'epoca, dall'altra parte la presunzione di voler stupire lo spettatore ma talvolta di "nauserarlo". Ma, e per fortuna, l'ambiguità delle riprese si rivelerà ben presto sporadica, e se non altro irrisoria, grazie anche ad una generale e meticolosa (quasi maniacale) cura visiva (sublime fotografia di David Allday, lo stesso che ha reso visibilmente un cult il bellissimo "La Fabbrica di Cioccolato" di Tim Burton; magnifici costumi della due volte premio Oscar per "Shakespeare in Love" e "The Aviator", Sandy Powell; e le suggestive scenografie di Sara Wan, che ha in passato curato anche quelle del particolare "Breakfast on Pluto"). Il format potrebbe comunque definirsi "studiato", romanzare un'intera era storica, impreziosirla di love story assortite, interpreti belli e in voga, e puntare sul successo dei due "Elizabeth" per imporsi come prequel storico. Ma le ambizioni della pellicola sono comunque fondate, e così un kolossal d'intrattenimento assume anche il funzionale ruolo di prezioso cimelio della cinematografia in costume, un film velato comunque di una poeticità propria, capace non solo di rappresentare per filo e per segno un romanzo lasciandolo praticamente nudo, ma capacitarlo piuttosto di una cast interamente capace, alcune sequenze da antologia, e l'immane capacità di commuovere ed emozionare dal primo all'ultimo minuto, in parte anche grazie all'indimenticabile colonna sonora di Paul Cantelon, già autore delle celebrazioni musicali de "Lo Scafandro e la Farfalla", capace di sottolineare anche il più emozionante degli eventi e di rendersi componente preponderante della scena stessa. I dialoghi sono ben diretti da un valido copione e generalmente di buon impatto. Ma la completa riuscita la si deve più alle due eroine, e in questa caso ricchi costumi e ambientazioni regali fanno solo da (splendida) cornice, due talentuose interpreti, completamente a loro agio nei loro ruoli, che si stringono fra amore ed odio in un cammeo ove sarebbe sinceramente bastata l'imponenza e l'espressività dei loro volti per confezionarne uno struggente capolavoro, che ha del melò, che ha del credibile, che ha del kolossal storico. Dunque un "Bravissimo" a Chadwick, come esordio alla regia, capace di confezionare non il solito blockbuster fritto misto di battaglie assortite, personaggi troppo slegati fra di loro e una nauseante correttezza storica, concentrandosi piuttosto sull'idillio delle due interpreti protagoniste, entrambe belle e brave, differentissime ma complementari, paragonabili solo a Crawford e Davis in "Che fine ha fatto Baby Jane?", un tale idillio d'amore ed odio non lo si vedeva da parecchio tempo.
4 su 5
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